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I
cattolici che hanno fatto l’Italia
Lucetta Scaraffia, I cattolici
che hanno fatto l’Italia. Religiosi e cattolici piemontesi di fronte
all’Unità d’Italia, Lindau, 2011, pp. 251 - euro 23.00
Che il Risorgimento sia stato connotato
da uno spirito contrario alla Chiesa gerarchica - rappresentata dalla
struttura politico-amministrativa dello Stato pontificio e dalla figura
istituzionale di monarca assoluto del papa-re- è fuori discussione. C’è
però un altro aspetto del Risorgimento che non può essere sottaciuto:
riguarda il ruolo dei cattolici -laici e chierici- nella costruzione
dello Stato unitario sin dal 1861. Lo mette bene in evidenza questo
libro, intitolato I cattolici che hanno fatto l’Italia, curato
dalla storica Lucetta Scaraffia (Università La Sapienza di Roma)
ed edito dalla Lindau, in cui sono raccolti contributi che dimostrano il
ruolo svolto dai cattolici piemontesi (religiosi e laici) nella
costruzione e consolidamento dell’Unità d’Italia.
La storiografia cattolica novecentesca ha avuto, nota la Scaraffia, “un
atteggiamento sostanzialmente comprensivo verso le esigenze di
formazione del nuovo Stato e la necessità della modernizzazione
liberale: storici come Traniello, Scoppola, Rumi, Martina, hanno
preferito guardare al cattolicesimo più favorevole alla modernizzazione,
più vicino alla nuova entità nazionale, dimenticando l’intransigenza e
la separazione che hanno segnato -seppure con intensità diversa- gli
anni che vanno dall’Unità alla prima guerra mondiale”. Sì, perché
l’Unità d’Italia porta libertà ai credenti. Scaraffia rileva che lo
storico Andrea Riccardi mette in evidenza l’aspetto positivo del
Risorgimento per i cattolici perché “stagione travagliata per la Chiesa,
era stata però un’occasione in cui il cattolicesimo nazionale si era
ristrutturato, nonostante la secolarizzazione e laicizzazione della
società. Mai, nella vita religiosa italiana, il papa aveva potuto
nominare direttamente, come fa con il Regno, i vescovi italiani”.
Osserva la curatrice: “Gli studi più recenti sul Risorgimento ci
consentono di ricostruire una periodizzazione più complessa dei rapporti
fra cattolici e Risorgimento, con un picco di conflittualità intorno
alla presa di Roma e all’estensione delle leggi piemontesi di
espropriazione dei beni ecclesiastici, ma anche momenti di accordo e
collaborazione su vari piani, non necessariamente politici, negli anni
immediatamente successivi all’Unità”.
In sede di bilancio storiografico riguardo al conflitto Stato-Chiesa a
causa dell’unificazione nazionale, “nonostante indubbie violenze e
prevaricazioni nei confronti dei cattolici, la Chiesa non è stata
indebolita da questa battaglia, ma ne è uscita più forte, purificata e
anche fortemente modernizzata, processo che era inevitabile e che
trovava però molte difficoltà a essere accetto al suo interno.
Un caso particolarmente significativo è quello delle religiose che,
proprio a causa dell’eversione dei beni ecclesiastici, ottengono
finalmente la possibilità di agire in campo sociale, dimostrando
capacità e creatività tali da cambiare il posto delle donne nella Chiesa
(...) e da proporre un modello interessante di emancipazione femminile:
non attraverso la rivendicazione dei diritti, ma assumendosi le
responsabilità e dimostrando di essere in grado di sostenerle”. A tal
fine, segnalo in particolare i contributi di Simonetta Trombetta (Una
cooperazione per il bene: la marchesa di Barolo e Silvio Pellico) e
di Grazia Loparco (Le figlie di Maria Ausiliatrice e le reti di ben
intesa italianità nel primo cinquantennio dello Stato unitario). Ma
non meno interessanti si presentano gli altri contributi, a cominciare
da quello di Franco M. Azzalli (Luoghi della santità nella Torino del
XIX secolo) in cui si delinea l’impegno di figure del livello di
Giovanni Bosco, Giuseppe Benedetto Cottolengo e di Leonardo Murialdo;
per proseguire con i contributi di Andrea Pennini (La religione nello
Stato. Aspetti della normativa in materia ecclesiastica dal regno di
Sardegna all’unità d’Italia) e di Oddone Camerana (Le mie
prigioni, il libro più famoso scritto in Torino). Insomma, un libro
che apre nuovi orizzonti di discussione. E di polemica.
Giuseppe Di Leo (Maggio 2011)
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