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Messaggio
di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale, 31/12/2013
"A
tutti gli italiani - e rivolgendo un particolare pensiero a quanti
vivono con ansia queste ore per le recenti scosse di terremoto - giunga
il mio affettuoso augurio. L'anno che sta per terminare è stato tra i
più pesanti e inquieti che l'Italia ha vissuto da quando è diventata
Repubblica. Tra i più pesanti sul piano sociale, tra i più inquieti sul
piano politico e istituzionale. L'anno che sta per iniziare può e deve
essere diverso e migliore, per il paese e specialmente per quanti hanno
sofferto duramente le conseguenze della crisi. Una crisi dalla quale in
Europa si comincia a uscire e più decisamente si potrà uscire se si
porterà fino in fondo un'azione comune per il rilancio della crescita
economica e dell'occupazione.
Questa
sera non tornerò su analisi e considerazioni generali che ho prospettato
più volte. Non passerò dunque in rassegna i tanti problemi da
affrontare. Cercherò, invece, di mettere innanzitutto in evidenza le
preoccupazioni e i sentimenti che ho colto in alcune delle molte lettere
indirizzatemi ancora di recente da persone che parlando dei loro casi
hanno gettato luce su realtà diffuse oggi nella nostra società.
Vincenzo, che mi scrive da un piccolo centro industriale delle Marche,
ha ormai 61 anni e sa bene quanto sia difficile per lui recuperare una
posizione lavorativa. "Sono stato" - mi dice - "imprenditore fino al
2001 (un calzaturificio con 15 dipendenti) ed in seguito alla sua
chiusura sono stato impiegato presso altri calzaturifici. Attualmente
sono disoccupato... Di sacrifici ne ho fatti molti, e sono disposto a
farne ancora. Questo non spaventa né me né i nostri figli.". Ma aggiunge
: "Non può essere che solo noi «semplici cittadini» siamo chiamati a
fare sacrifici. FACCIAMOLI INSIEME. Che comincino anche i politici.". Mi
sembra un proposito e un appello giusto, cui peraltro cercano di
corrispondere le misure recenti all'esame del Parlamento in materia di
province e di finanziamento pubblico dei partiti.
Daniela, dalla provincia di Como, mi racconta il caso del suo fidanzato
che a 44 anni - iscrittosi "allo sportello lavoro del paese" - attende
invano di essere chiamato, e resta, per riprendere le sue drammatiche
parole, "giovane per la pensione, già vecchio per lavorare".
Una forte denuncia della condizione degli "esodati" mi è stata
indirizzata da Marco, della provincia di Torino, che mi chiede di citare
la gravità di tale questione, in quanto comune a tanti, nel messaggio di
questa sera, e lo faccio.
Mi hanno scritto in questo periodo persone che alla denuncia delle loro
difficoltà uniscono l'espressione di un naturale senso della Nazione e
delle istituzioni. Lo si coglie chiaramente, ad esempio, nel travaglio
di un padre di famiglia, titolare di un modesto stipendio pubblico, che
mi scrive : "Questo mese devo decidere se pagare alcune tasse o comprare
il minimo per la sopravvivenza dei miei due figli...". E mi dice di
vergognarsi per questo angoscioso dilemma, pensando al patto
sottoscritto con le istituzioni, al "giuramento di pagare le tasse
sempre e comunque".
Ricevo
anche qualche lettera più lunga, che narra una storia personale
legandola alla storia e alla condizione attuale del paese. Così Franco
da Vigevano, agricoltore, che rievoca lo "spirito di fratellanza" degli
anni della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale e fa appello
perché quello spirito rinasca come condizione per rendere la "Nazione
stabile economicamente e socialmente".
E infine, avrei da citare molte lettere di giovani, polemiche verso le
incapacità della politica ma tutt'altro che rassegnate e prive di
speranza e volontà. Serena, da un piccolo centro del catanese, mi scrive
: "Noi giovani non siamo solo il futuro, ma siamo soprattutto il
presente", per il lavoro che manca, per la condizione delle famiglie che
scivolano nella povertà. "Voi adulti e politici parlate spesso dei
giovani e troppo poco con i giovani", che nonostante tutto sono pronti a
rimboccarsi le maniche e a fare ogni sforzo per poter dire, da adulti:
"sono fiero del mio paese, della mia Nazione".
Veronica, da Empoli, ventottenne, laureatasi a prezzo di grandi
sacrifici, da 3 anni alla ricerca, finora vana, di un lavoro, sente che
la crisi attuale è crisi di quella fiducia nei giovani, di quella
capacità di suscitare entusiasmo nei giovani, senza di cui "una Nazione
perde il futuro". E conclude : "io credo ancora nell'Italia, ma l'Italia
crede ancora in me?". Ecco, vedete, aggiungo io, una domanda che ci deve
scuotere.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno scritto, anche esprimendo
apprezzamento e fiducia, e talvolta critiche schiette, per il mio
impegno di Presidente. Non potendo sempre rispondere personalmente,
traggo da ogni racconto, denuncia o appello che mi giunge, stimoli per
prospettare - nei limiti dei miei poteri e delle mie possibilità - i
forti cambiamenti necessari nella politica, nelle istituzioni, nei
rapporti sociali. Ne traggo anche la convinzione che ci siano grandi
riserve di volontà costruttiva e di coraggio su cui contare.
Il coraggio degli italiani è in questo momento l'ingrediente decisivo
per far scattare nel 2014 quella ripresa di cui l'Italia ha così acuto
bisogno. Coraggio di rialzarsi, di risalire la china. Coraggio di
praticare la solidarietà : come già si pratica in tante occasioni,
attraverso una fitta rete di associazioni e iniziative benefiche, o
attraverso gesti, azioni eloquenti ed efficaci - dinanzi alle emergenze
- da parte di operatori pubblici, di volontari, di comuni cittadini,
basti citare l'esempio di Lampedusa. Coraggio infine di intraprendere e
innovare : quello che mostrano creando imprese più donne, più giovani,
più immigrati che nel passato.
Alla
crisi di questi anni ha reagito col coraggio dell'innovazione una parte
importante dell'industria italiana, indebolitasi, già molto prima, in
produzioni di base certamente rilevanti, ma affermatasi in nuove
specializzazioni. Quella parte dell'industria ha così guadagnato
competitività nelle esportazioni, ed esibito eccellenze tecnologiche,
come dimostrano i non pochi primati della nostra manifattura nelle
classifiche mondiali. In questo nucleo forte, vincente dell'industria e
dei servizi troviamo esempi e impulsi per un più generale rinnovamento e
sviluppo della nostra economia, e per un deciso ritorno di fiducia nelle
potenzialità del paese.
Guardiamo dunque al presente, al malessere diffuso, alla "fatica
sociale" - come si è detto - cui dare risposte qui ed ora, nell'anno
2014, ma lavoriamo in pari tempo a un disegno di sviluppo nazionale e di
giustizia sociale da proiettare in un orizzonte più lungo. E' a questa
prospettiva che sono interessati innanzitutto i giovani, quelli che con
grandi sforzi già hanno trovato il modo di dare il meglio di sé - ad
esempio, ne parlo spesso, nella ricerca scientifica - e gli altri, i
più, che ancora non riescono a trovare sbocchi gratificanti di
occupazione e di partecipazione a un futuro comune da costruire per
l'Italia.
Si richiedono però lungimiranti e continuative scelte di governo, con le
quali debbono misurarsi le forze politiche e sociali e le assemblee
rappresentative, prima di tutto il Parlamento, oggi più che mai
bisognoso di nuove regole per riguadagnare il suo ruolo centrale.
Non
tocca a me esprimere giudizi di merito, ora, sulle scelte compiute
dall'attuale governo, fino alle più recenti per recuperare e bene
impiegare, essenzialmente nel Mezzogiorno, miliardi di euro attribuitici
dall'Unione Europea attraverso fondi che rischiamo di perdere. Rispetto
a tali scelte e alla loro effettiva attuazione, e ancor più a quelle che
il governo annuncia - sotto forma di un patto di programma, che impegni
la maggioranza per il 2014 - il solo giudice è il Parlamento. E grande,
a questo proposito, è lo spazio anche per le forze di opposizione che
vogliano criticare in modo circostanziato e avanzare controproposte
sostenibili.
La sola preoccupazione che ho il dovere di esprimere è per il
diffondersi di tendenze distruttive nel confronto politico e nel
dibattito pubblico - tendenze all'esasperazione, anche con espressioni
violente, di ogni polemica e divergenza, fino a innescare un "tutti
contro tutti" che lacera il tessuto istituzionale e la coesione sociale.
Penso ai pericoli, nel corso del 2013, di un vuoto di governo e di un
vuoto al vertice dello Stato : pericoli che non erano immaginari e che
potevano tradursi in un fatale colpo per la credibilità dell'Italia e
per la tenuta non solo della sua finanza pubblica ma del suo sistema
democratico. Quei pericoli sono stati scongiurati nel 2013, sul piano
finanziario con risultati come il risparmio di oltre 5 miliardi sugli
interessi da pagare sul nostro debito pubblico. Sarebbe dissennato
disperdere i benefici del difficile cammino compiuto. I rischi già corsi
si potrebbero riprodurre nel prossimo futuro, ed è interesse comune
scongiurarli ancora.
La nostra democrazia, che ha rischiato e può rischiare una
destabilizzazione, va rinnovata e rafforzata attraverso riforme
obbligate e urgenti. Entrambe le Camere approvarono nel maggio scorso a
grande maggioranza una mozione che indicava temi e grandi linee di
revisione costituzionale. Compreso quel che è da riformare - come
proprio nei giorni scorsi è apparso chiaro in Parlamento - nella
formazione delle leggi, ponendo termine a un abnorme ricorso, in atto da
non pochi anni, alla decretazione d'urgenza e a votazioni di fiducia su
maxiemendamenti. Ma garantendo ciò con modifiche costituzionali e
regolamentari, confronti lineari e "tempi certi in Parlamento per
l'approvazione di leggi di attuazione del programma di governo".
Anche se molto è cambiato negli ultimi mesi nel campo politico e le
procedure da seguire per le riforme costituzionali sono rimaste quelle
originarie, queste riforme restano una priorità. Una priorità indicata
al Parlamento già dai miei predecessori e riconosciuta via via da un
arco di forze politiche rappresentate in Parlamento ben più ampio di
quelle che sostengono l'attuale governo. E mi riferisco a riforme che
soprattutto sono i cittadini stessi a sollecitare.
Alle
forze parlamentari tocca in pari tempo dare soluzione - sulla base di
un'intesa che anch'io auspico possa essere la più larga - al problema
della riforma elettorale, divenuta ancor più indispensabile e urgente
dopo la sentenza della Corte Costituzionale.
Dobbiamo tutti augurarci che il 2014 ci veda raggiungere risultati
apprezzabili in queste direzioni.
Non posso a questo punto fare a meno di sottolineare come nel nuovo anno
l'Italia sia anche chiamata a fare la sua parte nella comunità
internazionale : dando in primo luogo il suo contributo all'affermazione
della pace dove ancora dominano conflitti e persecuzioni. E a questo
riguardo voglio ricordare ancora una volta l'impegno dei nostri militari
nelle missioni internazionali, tra le quali quella contro la nuova
pirateria cui partecipavano i nostri marò Massimiliano La Torre e
Salvatore Girone, ai quali perciò confermo la nostra vicinanza. E
rivolgo un commosso pensiero a tutti i nostri caduti.
A una comune responsabilità per le sorti del mondo ci ha richiamato, nei
suoi messaggi natalizi e per la giornata mondiale della pace, Papa
Francesco con la forza della sua ispirazione che fa leva sul principio
di fraternità e che sollecita anche scelte coerenti di accoglienza e
solidarietà verso quanti fuggono da guerre, oppressioni e carestie
cercando asilo in Italia e in Europa.
Queste supreme istanze di pace e di solidarietà mi spingono anche a un
appello perché non si dimentichi quello che l'Europa, l'integrazione
europea, ci ha dato da decenni : innanzitutto proprio la pace e la
solidarietà. Anche in funzione di tale impegno molte cose debbono oggi
certamente cambiare nell'Unione Europea. In tal senso dovrà operare
l'Italia, specie nel semestre di sua presidenza dell'Unione, senza che
nessuno degli Stati membri si tiri però indietro e si rinchiuda in un
guscio destinato peraltro ad essere travolto in un mondo radicalmente
cambiato e divenuto davvero globale.
Né si
dimentichi - nel fuoco di troppe polemiche sommarie - che l'Europa unita
ha significato un sempre più ampio riconoscimento di valori e di diritti
che determinano la qualità civile delle nostre società. Valori come
quelli, nella pratica spesso calpestati, della tutela dell'ambiente -
basti citare il disastro della Terra dei fuochi - del territorio, del
paesaggio. Diritti umani, diritti fondamentali : compresi quelli che
purtroppo sono negati oggi in Italia a migliaia di detenuti nelle
carceri più sovraffollate e degradate.
Care
ascoltatrici, cari ascoltatori, ho voluto esprimervi la mia vicinanza a
realtà sociali dolorose, che molti di voi vivono in prima persona, ed
evocare valori e principi, necessità e speranze di cambiamento da
coltivare tenacemente. L'ho fatto senza entrare nel merito di posizioni
politiche e di soluzioni concrete, su cui non tocca a me pronunciarmi.
Come nei sette anni conclusisi nell'aprile scorso, così negli otto mesi
successivi alla mia rielezione, ho assolto il mio mandato raccogliendo
preoccupazioni e sentimenti diffusi tra gli italiani. E sempre mirando a
rappresentare e rafforzare l'unità nazionale, servendo la causa del
prestigio internazionale dell'Italia, richiamando alla correttezza e
all'equilibrio nei rapporti tra le istituzioni e tra i poteri dello
Stato, nei rapporti, anche, tra politica e giustizia tenendo ben ferma
la priorità della lotta al crimine organizzato.
Conosco i limiti dei miei poteri e delle mie possibilità anche nello
sviluppare un'azione - al pari di tutti i miei predecessori - di
persuasione morale. Nessuno può credere alla ridicola storia delle mie
pretese di strapotere personale. Sono attento a considerare ogni critica
o riserva, obbiettiva e rispettosa, circa il mio operato. Ma in assoluta
tranquillità di coscienza dico che non mi lascerò condizionare da
campagne calunniose, da ingiurie e minacce.
Tutti sanno - anche se qualcuno finge di non ricordare - che il 20
aprile scorso, di fronte alla pressione esercitata su di me da diverse
ed opposte forze politiche perché dessi la mia disponibilità a una
rielezione a Presidente, sentii di non potermi sottrarre a un'ulteriore
assunzione di responsabilità verso la Nazione in un momento di
allarmante paralisi istituzionale.
Null'altro che questo mi spinse a caricarmi di un simile peso, a
superare le ragioni, istituzionali e personali, da me ripetutamente
espresse dando per naturale la vicina conclusione della mia esperienza
al Quirinale. E sono oggi ancora qui dinanzi a voi ribadendo quel che
dissi poi al Parlamento e ai rappresentanti regionali che mi avevano
eletto col 72 per cento dei voti. Resterò Presidente fino a quando "la
situazione del paese e delle istituzioni" me lo farà ritenere necessario
e possibile, "e fino a quando le forze me lo consentiranno". Fino ad
allora e non un giorno di più ; e dunque di certo solo per un tempo non
lungo. Confido, così facendo, nella comprensione e nel consenso di molti
di voi.
Spero di poter vedere nel 2014 decisamente avviato un nuovo percorso di
crescita, di lavoro e di giustizia per l'Italia e almeno iniziata
un'incisiva riforma delle istituzioni repubblicane.
Ho concluso. Buon anno alle vostre famiglie, dagli anziani ai bambini,
buon anno a chi serve la patria e la pace lontano dall'Italia, buon anno
a tutti quanti risiedono operosamente nel nostro paese.
Guardiamo - lasciate che ve lo dica - con serenità e con coraggio al
nuovo anno".
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Fonte: sito del Quirinale
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