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Settimana dal 1° all'8 maggio
L'ALLARGAMENTO DELL'UE: ASPETTI CULTURALI E POLITICI
Interessante (e complesso) articolo su IL FOGLIO del 30 aprile
(L'Europa cresce ma non esiste, è un errore di Ecateo di Mileto, pag.3)
sulla ricerca del concetto smarrito di Europa. Carolingia l'Europa a
sei, "quella dei Trattati di Roma del 1957 tra Germania, Francia,
Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo". Atlantica l'Europa a nove,
con l'ingresso di Regno Unito, Danimarca e Irlanda, "un'entità che dal
punto di vista politico non era in realtà mai esistita, ma che dal
punto di vista ideologico si ricollegava alla storiografia che, in
concomitanza con la fondazione della Nato, ne aveva cercato le radici
in un asse di "rivoluzioni atlantiche"".
Fuorviante l'idea che alla base dell'Europa atlantica sia la Grecia,
che oltre a non trovarsi sull'Atlantico "nella Comunità europea ci
entra solo nel 1981, in una fuggevole Europa a 10 poi a 12 nel 1986
con l'adesione di Spagna e Portogallo. A quel punto la suggestione
diventa quella dell'Europa romana". Nel 1995 entrano Svezia, Finlandia
e Austria e quell'Europa (come quelle successive fino a comprendere
l'Unione a 25) mette in crisi la convinzione dell'occidentalità pura
del Continente. "Le lingue indo-europee (…) nascono al confine tra
Europa e Asia, si diffondono in Europa sterminando autoctoni
probabilmente affini ai moderni baschi, e creano le loro prime grandi
civiltà tra l'Anatolia degli Ittiti, la Persia degli Achemenidi e
l'India vedica". Insomma, si confuta l'idea abbagliante diffusa un
secolo prima di Erodoto "dal geografo Ecateo di Mileto, secondo cui
Europa, Africa e Asia erano tre "isole" tra loro ben distinte". E non
sarà il termine fenicio "Ereb" (che significa "Occidente") in
contrapposizione ad Asia (che significa "Oriente") a cancellare una
realtà indiscutibile: i Greci chiamavamo "Europa" "ogni territorio che
scoprivano oltre l'asse nord del Mediterraneo. Da allora l'idea di
Europa non ha mai finito di muoversi".
Pregevoli articoli di Tzvetan Todorov e Giovanni Reale sull'inserto
culturale del SOLE 24 ORE di sabato 1° maggio.
Todorov (Guardare al futuro più che alle radici, pag.1) rileva che il
mancato richiamo nel preambolo della Costituzione europea al
cristianesimo non è uno scandalo, perché altrimenti si sarebbe dovuto
citare il valore della "laicità". "La laicità in senso lato significa
rottura tra il teologico e il politico, ossia separazione tra
ordinamento spirituale e ordinamento temporale, che hanno entrambi
regole ed esigenze proprie. In Europa, paradossalmente, il principio
ha un'origine religiosa e più precisamente cristiana (…). Detta
separazione, abolita quando la religione cristiana era diventata
religione di Stato, è stata riaffermata a seguito delle guerre che,
sul finire del Medioevo, hanno contrapposto papi e imperatori". Il
valore europeo della laicità è stato minacciato anche dagli Stati
totalitari. Sostiene Todorov: "Ancora una volta quei regimi hanno
tentato di integrare l'ideologia nel progetto stesso di Stato e di
confondere pertanto il teologicoi -in questo caso l'ideologia- e il
politico". Contestabile è, al contrario, l'idea che al pari della
laicità possa essere considerato un valore il pacifismo. Sebbene
l'Europa benefici di una invidiabile situazione di pace, tuttavia
"quello che vale per i membri dell'Unione non si applica ai nostri
rapporti con il resto del mondo. Se rinunciamo in anticipo e in modo
radicale all'uso della forza, rinunciamo ipso facto a ogni altro
valore, perché questo significherebbe che, cedendo alla paura, saremmo
pronti ad abdicare ai nostri valori senza neppure tentare di
difenderli".
Reale scrive che "Agostino è stato il padre dell'Europa, e il
protagonista della vita europea", in linea con quanto sostenuto da
Marìa Zambrano, l'allieva prediletta di Ortega Y Gasset. Ma a
differenza delle filosofa spagnola, per Reale "l'affermazione che
"l'uomo interiore" è una novità di Agostino in senso assoluto, va
corretta. In effetti, c'è una precisa anticipazione di tale concezione
nella Repubblica di Platone (…) dove si parla dell'anima intesa come
tripartita in "anima concupiscibile" (…), "anima irascibile o
volitiva" e "anima razionale". Tuttavia, i Greci non raggiungono
l'elevatezza del concetto di "uomo come persona" che costituisce,
scrive Reale, "il fondamento spirituale da cui è nata l'Europa".
Enzo Bettiza, da par suo, su PANORAMA (La madre di tutte le domande,
pag.114) indica la principale novità dall'allargamento a 25 nella
commistione del nucleo originario latino-germanico con quattro
componenti dell'universo slavo. Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e
Slovenia. "Si tratta di popoli culturalmente affini e già abituati a
coabitare in ampi agglomerato sovrannazionali". L'Europa carolingia,
troppo frenata dagli egoismi degli stati-nazione, potrà ricevere dai
nuovi membri slavi "una sferzata rivitalizzante" che la faccia uscire
dalle "diatribe sull'Iraq, sull'America, sull'euro, sui prodotti
lordi, sui patti e ricatti di stabilità?". La risposta è netta. "Penso
che fra un anno, e anche meno, sapremo se sarà nata una squadra in più
di europportunisti o se avrà preso corpo una nuova schiera di
eurofondatori".
"L'allargamento dell'Ue non è solo questione di numeri -scrive
L'OSSERVATORE ROMANO del 1° maggio (L'occasione di una storia diversa,
pag.3)- o solo di confini (…): immenso è soprattutto il valore sociale
e politico implicito nell'accoglienza ai popoli di altre Nazioni".
L'esempio della Costituzione europea con "la progressiva affermazione
dei valori di una democrazia pacifica, con la tutela dei diritti
dell'uomo, che proprio in Europa ha avuto la sua principale
teorizzazione e affermazione nella seconda metà del Novecento, resta
la bussola per indicare al Millennio appena aperto la direzione per
costruire una storia diversa". Ma è importante, a tal fine, inserire
nella Costituzione europea anche il richiamo alle radici cristiane del
Continente. Sostiene il quotidiano ufficioso della Santa Sede:
"Ignorare quelle radici significa infatti non cogliere un punto
cruciale: con questo allargamento si incomincia a realizzare la
funzione -o meglio la riconciliazione- tra due identità ( i due
polmoni rappresentati da Benedetto e Francesco da un lato e Cirillo e
Metodio dall'altro, dei quali tante volte ha parlato il Papa) che
l'Europa hanno costruito. Questo non significa né confessionalismo né
esclusione". Il Papa esplicita il concetto nel discorso del Regina
Coeli che pronuncia il 2 maggio e riportato per intero
sull'OSSERVATORE ROMANO del 3 maggio (La linfa vitale del Vangelo
assicura all'Europa uno sviluppo coerente con la sua identità, pag.1).
"La storia della formazione della Nuova Europa -afferma Giovanni Paolo
II- cammina di pari passo con l'evangelizzazione. Pertanto, nonostante
le crisi spirituali che hanno segnato la vita del Continente sino ai
nostri giorni, la sua identità sarebbe incomprensibile senza il
Cristianesimo".
Sull'allargamento a 25 Alberto Ronchey sul CORRIERE DELLA SERA del 1°
maggio (Il baricentro costituzionale, pag.1) scrive che "un simile
processo è senza esempio, per la sua portata geopolitica e
geoeconomica, in ogni epoca della storia". Difficile dire cosa sia
l'Unione europea. Più facile dire che cosa non è. "L'Ue non può essere
un melting pot, un crogiolo plurietnico d'immigrati con prevalenza
degli anglosassoni, come gli Usa. Non è nemmeno un mosaico
multirazziale, con prevalenza degli slavi, come la Federazione russa
dopo la dissoluzione dell'Impero prima zarista e poi sovietico". Ma
l'identità non è l'unico problema. A esso si aggiungono la questione
dell'immigrazione dall'Europa orientale e il riparto dei fondi
strutturali a favore delle regioni economiche più deboli. Se sul piano
antropologico "non esiste un homo europeus", sul piano giuridico "non
sappiamo quando né come potrà nascere davvero un civis europeus".
Buona l'intervista di Andrea Bonanni a Romano Prodi su LA REPUBBLICA
del 1° maggio (L'Europa esporta democrazia e lo fa in maniera
pacifica, pag 17). Sostiene Prodi: "L'allargamento dell'Unione è il
più grande esperimento riuscito di esportazione pacifica della
democrazia: un sistema che non viene imposto ma interiorizzato.
Insisto molto su questo punto, perché per ma la diffusione pacifica
della democrazia è forse il maggiore vantaggio dell'unificazione
dell'Europa". All'intervistatore che gli chiede se si possa ancora
parlare, come ha fatto Rumsfeld, di vecchia Europa e di nuova Europa
il presidente della Commissione europea risponde netto: "La sua è una
definizione culturalmente non attrezzata. Rumsfeld non ha capito che
l'Europa è perennemente in costruzione. E quindi non c'è vecchio e
nuovo ma un amalgama in continuo cambiamento". Resta il problema di
far funzionare un'Europa così grande. "Il problema non è il numero di
paesi -risponde Prodi- Il problema sono le regole di funzionamento".
Sull'ipotesi che si instauri il direttorio a tre anglo-franco-tedesco,
Prodi si mostra scettico: "Credo che l'allargamento ci darà davvero
delle sorprese (…). In una Unione a venticinque non credo che
basteranno due o tre paesi per costituire il motore dell'Europa".
"Romano Prodi, che in tutti questi anni ha sottoposto gli europei
orientali a un accanito, meticoloso esame di maturità economico,
istituzionale, democratico, non ha torto quando dichiara che l'Unione
si può presentare al mondo come un modello vincente di esportazione
della democrazia -scrive Barbara Spinelli su LA STAMPA del 3 maggio (I
confini della nuova Europa, pag.1). Ma la sfida è ancora tutta aperta,
perché "altri presidente verranno dopo Bush, che preferiranno dividere
l'Europa piuttosto che foderarla, e dunque spetta a noi soltanto, ora,
trasformare l'Unione nel soggetto mondiale che non è ancora". La nuova
cultura politica dell'Europa, prosegue la Spinelli, deve nascere da
due consapevolezze: "far proprie le inquietudini di sicurezza delle
nazioni dell'Est appena entrate, e non considerarle alla stregua di
psicotiche ossessioni"; e "pensare quali sono i nostri confini, e di
che natura essi debbano essere". Fra gli ingredienti della nuova
Europa vi sono "lo Stato di diritto, il pluralismo, l'appartenenza a
una storia europea (…). Ma non meno imprescindibile è la rinuncia a
parti sempre più consistenti della sovranità nazionale". Quest'ultimo
aspetto fa scrivere alla Spinelli che "è impossibile aprire l'Unione a
Israele e Palestinesi, che s'opporrebbero a ogni delega di sovranità".
Tuttavia è necessario allearsi con Israele e la Turchia "ma senza
garantire subito un ingresso. L'adesione avverrà a ben precise
condizioni, quando gli Stati in questione avranno veramente riflettuto
sulla propria storia e ne vorranno costruire un'altra, fondata non più
sulla forza solitaria e assoluta dello Stato nazione ma nel senso del
limite, sull'accettazione di autorità e leggi superiori alle autorità
e alle leggi nazionali".
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