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Elisabeth Eide
Dipartimento di Giornalismo e Scienze della Comunicazione
Politecnico di Oslo e Akershus (HiOA)
0130 Oslo
Al Comitato per il Nobel norvegese
alla cortese attenzione di Geir Lundestad
Henrik Ibsens gate 51
0255 Oslo
Addì 31/01/2014
Oggetto: Candidatura per il Premio Nobel per la Pace 2014
La sottoscritta intende con la presente candidare il popolo di
Lampedusa, rappresentato dall’organo più alto dell’isola, al
Premio Nobel per la Pace 2014.
La motivazione per la candidatura è la seguente.
Ogni anno decine di migliaia di persone abbandonano i propri paesi
martoriati dalla guerra alla ricerca di un luogo dove vivere in pace.
Intraprendono un viaggio difficile, trovano controlli armati alle
frontiere e spesso il rientro forzato. In questo modo non si risolvono i
problemi, ma la situazione di chi cerca pace e sicurezza diventa molto
precaria. Sono almeno 20.000 le persone – uomini, donne e bambini – che
sono morte nel Mediterraneo lungo le coste meridionali dell’Europa dal
1994, secondo diverse organizzazioni di volontariato che lavorano
nell’area. Gli ultimi 640 sono annegati nel periodo tra il 30 settembre
e l’11 ottobre 2013: erano profughi eritrei e siriani. Un centinaio di
questi erano bambini. Erano in viaggio verso l’Europa su imbarcazioni
troppo piene: la loro unica possibilità di sfuggire alle brutali
condizioni di oppressione e guerra nei paesi di origine.
Molti sono morti, ma migliaia di profughi sono sopravvissuti a simili
viaggi e ostacoli. Nel 2013 sono stati oltre 40.000. Negli ultimi venti
anni centinaia di migliaia di persone hanno trovato il primo approdo
nella piccola isola vulcanica di Lampedusa. Qui hanno trovato
soccorritori, medici, volontari e comuni cittadini che li hanno accolti
in nome della pace. Lampedusa ha 6.300 abitanti, che più e più volte
hanno mostrato la propria ospitalità e il proprio coraggio. In diversi
casi gli abitanti dell’isola hanno contribuito a salvare profughi che
stavano annegando, mettendo a rischio la propria vita. Il 3 ottobre 2013
il muratore Costantino Baratta è uscito in barca con un amico. Hanno
sentito delle voci che chiedevano aiuto a qualche centinaio di metri
dalla terraferma. Quando si sono avvicinati, hanno trovato una grande
quantità di cadaveri galleggianti. Ma tra questi c’erano anche dodici
persone vive, le ultime superstiti al naufragio di un’imbarcazione che
trasportava centinaia di richiedenti asilo eritrei. Non avevano né
telefono né segnale radio per chiedere aiuto. Altri pescatori hanno
fatto come Baratta, salvando molti naufraghi. In seguito diversi hanno
accusato problemi psicologici per aver visto così tante persone annegate
mentre, con risorse limitate, mettevano in salvo quanti potevano.
Nel 2011, durante la rivolta in Tunisia e la guerra in Libia, il governo
italiano dell’epoca ha deciso di bloccare a Lampedusa tutti i
richiedenti asilo, in modo che non potessero proseguire il viaggio
dall’isola. Nel corso dei mesi 11.000 nuovi arrivati sono stati
assistiti nelle case degli abitanti, ricevendo cibo e altri aiuti da
parte dei 6.300 residenti, poiché il centro di accoglienza dello Stato
per i richiedenti asilo ha solo 800 posti.
Il giornalista italiano Fabrizio Gatti è diventato famoso in tutto il
mondo con il suo libro Bilal, dove racconta la fuga di chi
attraversa il Sahara e il Mediterraneo. Oltre ad avere scritto la storia
di questa fuga, lui stesso da infiltrato ha fatto esperienza della
grande umanità mostrata dagli abitanti di Lampedusa.
Oggi Lampedusa è uno dei più importanti accessi all’Europa e la
popolazione dell’isola svolge un ruolo centrale nell’offrire un
trattamento umano ai profughi dei barconi. Gli abitanti di Lampedusa si
sono mostrati in grado di convivere in pace con i nuovi arrivati e hanno
dimostrato di avere una singolare capacità di empatia e solidarietà.
Il Premio Nobel per la Pace alle istituzioni e alla popolazione
dell’isola accenderebbe i riflettori sulla compassione per gli altri
esseri umani e sull’interazione pacifica in un’area fortemente
caratterizzata dalla xenofobia. In Europa vediamo che sono sempre più
numerosi quelli che chiudono un occhio sulla dignità umana dei profughi.
Il Premio potrebbe anche contribuire a fermare lo scandaloso traffico da
cui ricavano profitto tutti coloro che mandano altri esseri umani su
imbarcazioni miserabili, in molti casi condannandoli a morte certa. Il
Premio può anche significare un barlume di speranza per coloro che sono
costretti ad abbandonare la propria patria alla ricerca di quella pace e
sicurezza che non hanno nel paese da cui provengono. Costituirebbe un
segnale che qualcuno pensa a loro come qualcosa di più che un numero
nelle statistiche dei morti. Non ultimo, costituirebbe anche un
riconoscimento per una piccola popolazione la cui umana compassione è
stata messa grandemente alla prova negli ultimi venti anni e che ha
superato tale prova perché rispetta la dignità umana e mostra che gli
esseri umani possono praticare la convivenza pacifica.
Cordiali saluti
Professoressa Elisabeth Eide
Politecnico di Oslo e Akershus (HiOA)
Tel. 22452647/99538384
(traduzione di Eva Valvo)
05 febbraio 2014
© Riproduzione riservata
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Fonte:
L'ESPRESSO 5 febbraio 2014
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